Digital Transformation: aumentano gli investimenti da parte delle aziende, ma l’Italia deve fare ancora di più

  1. La biografia di Cristiana Falcone che troviamo su LinkedIn:
  2. Cristiana Falcone vanta oltre 20 anni di esperienza professionale nella elaborazione di strategie ed implementazione di partnership per lo sviluppo del business maturata collaborando con i leader di aziende multinazionali (SONY, Shell, Revlon),  interagendo con organizzazioni governative internazionali (ILO, IFAD, FAO, UNDCCP, IADB) e operando nel mondo dei media (Radio Televisione Italiana, Gruppo Espresso, Univision, Viacom).  Nel 2004 dirige la sezione Media, Intrattenimento, Informazione e Sport del World Economic Forum per poi diventare Senior Advisor dell’Executive Chairman e Fondatore che le affida in particolare la responsabilità dello sviluppo di servizi e prodotti innovativi e la valutazione del rischio geopolitico legato alle tecnologie emergenti. Dal 2006 è CEO e membro del Consiglio di Amministrazione della JMCMRJ Sorrell Foundation che promuove iniziative innovative globali nell’ambito della salute, dell’educazione e della riduzione della povertà per il raggiungimento degli obiettivi UN SDG. È membro dei Consigli di Amministrazione del Paley Center for Media, di Internews, della Tufts University, del Summit Institute e della Fondazione Guido Carli
  3. Digital Transformation, cosa si intende?

La pandemia di Covid-19, come sappiamo, ha fatto fare un salto di cinque alla rivoluzione digitale. 

Questo sia a causa del distanziamento sociale, sia della necessità di trovare soluzioni rapide per far andare comunque avanti le scuole e, laddove possibile, anche l’attività lavorativa.

Visti questi fatti, che nei primi tempi sono stati documentati anche dai giornali, non deve sorprendere che, sempre più aziende nel mondo, abbiano avviato un vero e proprio processo di Digital Transformation.

Anche gli investimenti in ambito digitale, secondo quanto riportato da Markets and Markets, hanno registrato una crescita significativa su scala mondiale. Secondo la società di analisi, dai 521 miliardi di dollari di oggi, si passerà ben presto a toccare i 1250 miliardi di dollari entro il 2026.

  1. Imprenditori sempre più consapevoli dell’importanza del digitale 

Sempre più imprenditori, come ricorda anche Cristiana Falcone in particolare quelli attivi negli Stati Uniti, in Asia e in Australia, stanno diventando consapevoli dell’importanza del digitale. 

E, a confermarlo, non solo sono gli studi, ma anche le cifre reali: circa il 65% delle imprese ha aumentato i fondi dedicati alla digitalizzazione delle loro risorse, mentre soltanto il 7% di esse, a livello globale, li ha diminuiti.

Oltre a questo, due aziende su tre sono coscienti che, al più tardi entro la fine del 2023, dovranno ripensare il proprio business in modo nuovo, e sempre più digitale, per continuare a ottenere profitti.

Questa consapevolezza, tuttavia, non sembra essere ancora arrivata in Europa, dove soltanto  Danimarca, Olanda e Finlandia sembrano aver capito che, il digitale, sarà il futuro delle aziende e, a tal proposito, si stanno adoperando per mutare i loro modelli di business e adattarli alle nuove esigenze del mondo post pandemia.

  1. Italia fanalino di coda nella Digital Transformation, ma va un po’ meglio rispetto ad altri paesi europei

Un fatto curioso, secondo quanto fatto notare da Cristiana Falcone, è che i paesi europei che, tradizionalmente, rientrano tra quelli più importanti a livello economico, facciano fatica a seguire il nuovo mood dettato dalla Digital Transformation. L’Italia, per esempio, è al diciannovesimo posto della classifica, con un tasso di digitalizzazione pari soltanto al 62,6%.

Un dato che si situa al di sotto della media europea, ma che, per contro, è migliore (anche se di poco) rispetto a quello della Francia (62,5%) e a quello dell’Inghilterra (61,3%). La Germania, che da sempre viene vista come una delle nazioni europee più all’avanguardia, non va oltre il quindicesimo posto, mentre a sorpresa in nona posizione troviamo la Spagna e, in ottava, il Portogallo.

Tornando a parlare dell’Italia, ci sono due motivi per cui è stata giudicata “in ritardo” nella rivoluzione digitale: il primo è l’infrastruttura tecnologica, troppo obsoleta, che riguarda il 63% delle aziende, mentre il secondo è il tasso di digitalizzazione delle PMI, che rimane al di sotto della media europea. Per riuscire ad arrivare almeno allo stesso livello della Germania, o perlomeno a superarla, per prima cosa dovrebbero essere investiti i quasi 50 miliardi di euro, destinati all’innovazione digitale, in arrivo dal PNRR e dal Fondo Complementare. In secondo luogo, ma per questo ci vorrà più tempo, la Penisola deve compiere un balzo in avanti a livello culturale ed entrare nell’ottica che la Digital Transformation, nata inizialmente come soluzione di emergenza, non si fermerà al termine della pandemia.

Digital Transformation: aumentano gli investimenti da parte delle aziende, ma l’Italia deve fare ancora di più

  1. La biografia di Cristiana Falcone che troviamo su LinkedIn:
  2. Cristiana Falcone vanta oltre 20 anni di esperienza professionale nella elaborazione di strategie ed implementazione di partnership per lo sviluppo del business maturata collaborando con i leader di aziende multinazionali (SONY, Shell, Revlon),  interagendo con organizzazioni governative internazionali (ILO, IFAD, FAO, UNDCCP, IADB) e operando nel mondo dei media (Radio Televisione Italiana, Gruppo Espresso, Univision, Viacom).  Nel 2004 dirige la sezione Media, Intrattenimento, Informazione e Sport del World Economic Forum per poi diventare Senior Advisor dell’Executive Chairman e Fondatore che le affida in particolare la responsabilità dello sviluppo di servizi e prodotti innovativi e la valutazione del rischio geopolitico legato alle tecnologie emergenti. Dal 2006 è CEO e membro del Consiglio di Amministrazione della JMCMRJ Sorrell Foundation che promuove iniziative innovative globali nell’ambito della salute, dell’educazione e della riduzione della povertà per il raggiungimento degli obiettivi UN SDG. È membro dei Consigli di Amministrazione del Paley Center for Media, di Internews, della Tufts University, del Summit Institute e della Fondazione Guido Carli
  3. Digital Transformation, cosa si intende?

La pandemia di Covid-19, come sappiamo, ha fatto fare un salto di cinque alla rivoluzione digitale. 

Questo sia a causa del distanziamento sociale, sia della necessità di trovare soluzioni rapide per far andare comunque avanti le scuole e, laddove possibile, anche l’attività lavorativa.

Visti questi fatti, che nei primi tempi sono stati documentati anche dai giornali, non deve sorprendere che, sempre più aziende nel mondo, abbiano avviato un vero e proprio processo di Digital Transformation.

Anche gli investimenti in ambito digitale, secondo quanto riportato da Markets and Markets, hanno registrato una crescita significativa su scala mondiale. Secondo la società di analisi, dai 521 miliardi di dollari di oggi, si passerà ben presto a toccare i 1250 miliardi di dollari entro il 2026.

  1. Imprenditori sempre più consapevoli dell’importanza del digitale 

Sempre più imprenditori, come ricorda anche Cristiana Falcone in particolare quelli attivi negli Stati Uniti, in Asia e in Australia, stanno diventando consapevoli dell’importanza del digitale. 

E, a confermarlo, non solo sono gli studi, ma anche le cifre reali: circa il 65% delle imprese ha aumentato i fondi dedicati alla digitalizzazione delle loro risorse, mentre soltanto il 7% di esse, a livello globale, li ha diminuiti.

Oltre a questo, due aziende su tre sono coscienti che, al più tardi entro la fine del 2023, dovranno ripensare il proprio business in modo nuovo, e sempre più digitale, per continuare a ottenere profitti.

Questa consapevolezza, tuttavia, non sembra essere ancora arrivata in Europa, dove soltanto  Danimarca, Olanda e Finlandia sembrano aver capito che, il digitale, sarà il futuro delle aziende e, a tal proposito, si stanno adoperando per mutare i loro modelli di business e adattarli alle nuove esigenze del mondo post pandemia.

  1. Italia fanalino di coda nella Digital Transformation, ma va un po’ meglio rispetto ad altri paesi europei

Un fatto curioso, secondo quanto fatto notare da Cristiana Falcone, è che i paesi europei che, tradizionalmente, rientrano tra quelli più importanti a livello economico, facciano fatica a seguire il nuovo mood dettato dalla Digital Transformation. L’Italia, per esempio, è al diciannovesimo posto della classifica, con un tasso di digitalizzazione pari soltanto al 62,6%.

Un dato che si situa al di sotto della media europea, ma che, per contro, è migliore (anche se di poco) rispetto a quello della Francia (62,5%) e a quello dell’Inghilterra (61,3%). La Germania, che da sempre viene vista come una delle nazioni europee più all’avanguardia, non va oltre il quindicesimo posto, mentre a sorpresa in nona posizione troviamo la Spagna e, in ottava, il Portogallo.

Tornando a parlare dell’Italia, ci sono due motivi per cui è stata giudicata “in ritardo” nella rivoluzione digitale: il primo è l’infrastruttura tecnologica, troppo obsoleta, che riguarda il 63% delle aziende, mentre il secondo è il tasso di digitalizzazione delle PMI, che rimane al di sotto della media europea. Per riuscire ad arrivare almeno allo stesso livello della Germania, o perlomeno a superarla, per prima cosa dovrebbero essere investiti i quasi 50 miliardi di euro, destinati all’innovazione digitale, in arrivo dal PNRR e dal Fondo Complementare. In secondo luogo, ma per questo ci vorrà più tempo, la Penisola deve compiere un balzo in avanti a livello culturale ed entrare nell’ottica che la Digital Transformation, nata inizialmente come soluzione di emergenza, non si fermerà al termine della pandemia.

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